Iconografia essenziale

by Lord Bardock Waterfall

circa 11 anni fa

Istruzioni:
Trova sul web un'immagine del gioco più importante della tua infanzia.

“Futuro Ingegnere...?”

La mia generazione è abbastanza recente, e non può vantare giochi tanto ingegnosi quanto quelli di coloro che fanno parte dell'era ante videogames. Che, tra l'altro, hanno sempre fornito notevoli momenti di svago nelle occasioni in cui non avevo nessuno/nulla di meglio con cui trascorrere il mio tempo libero, ma che mi hanno sempre lasciato l'amaro in bocca quando si trattava di tirare le fila e chiedersi: "Bene, e da questo gioco cosa ho imparato...?".
In parallelo, il pallone si dimostrava mio fedele amico e compagno inseparabile dei soleggiati pomeriggi di primavera ed estate, oltre che inesauribile fonte di infinite partite a schiacciasette, di sudore, e di litigate con mia sorella. E giocarci da solo non era poi così soddisfacente...
Bene, e dunque? Come passavo le lunghe domeniche uggiose senza compiti, le vacanze senza alcun amico con cui divertirmi?

Un giorno, mio papà arrivò da lavoro con un grosso sacchetto di plastica, dicendomi: "Ciccio, ti ho portato a casa una sorpresa!". Con l'impazienza dei bambini, gli saltellai addosso per più di venti minuti, fin quando dal sacchetto grosso tirò fuori una scatola di cartone grigia con una scritta a caratteri cubitali:

LEGO MINDSTORMS.

Avevo le lacrime agli occhi. Quei robottini lego, che neanche mi ricordo più come si chiamano... Insomma, quei cosi lì li avevo già tutti, collezionati dopo duri anni di ricerche e assemblaggio dei loro pezzi, ma ormai erano robe noiose: erano sempre gli stessi, li dovevo muovere io, e montarli era assurdamente facile persino per un bimbetto di sette anni com'ero io.
Ma quello...
Un robot vero, computerizzato, che se gli dicevi qualcosa ti rispondeva, che ti riportava indietro le palline colorate (un po' come un cagnolino), che riconosceva i colori, che aveva un sacco di funzioni che potevi programmare dal computer... Quello era l'apoteosi, il sogno dei miei sogni.

Quella sera stessa l'androide era già bell'e montato, pronto per pronunciare il suo primo: "Buonasera".
Ora, di anni ne ho diciotto, e lui è ancora lì, sulla mia libreria, e ogni tanto mi saluta ancora con lo stesso "Buonasera" di undici anni fa. :')

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