Qui è dove lavora il tristo figuro dei piedi rasati e tutto il resto. Un piccolo templio dove, come un umile patriarca, conduco insieme ad un collega (non presente quel giorno) i giovani verso un mondo che neanch'io comprendo e forse mai possiederò appieno: il mestiere del teatro, quello di vivere.

Mi stavo chiedendo, oggi, se io per caso non faccia parte di un quadro surrealista. Ne sono il protagonista e la cosa mi rende fiero, sì, perchè quel quadro è la mia vita e cazzo se non ne fossi il centro! Ma l'autore, cocciuto e infelice, continua a schizzarmi dettagli strani addosso e intorno, come se la mia vita fosse troppo noiosa. I colori che c'erano si smuovono nell'ombra della crosta nuova; devo rivalutare di nuovo
e poi di nuovo
e poi di nuovo ancora.
Così il colore perde il senso.
E gli attori si nascondono: è come se sotto le macchie nuove si nascondessero le quinte. Quindi io mi affeziono, calcolo, studio e poi BLAM altra verniciata, e il teatro pittorico della vita rischizza su ciò che conosco. Alle volte mi chiedo se anche l'autore non sia sempre io. Giorni in cui mi fa comodo pensare alla predestinazione, altri in cui il Matvey artefice di Matvey è l'unica possibilità plausibile. Ma gli altri attori, li copro davvero io, o chiamano le macchie a sè????

Nello spazio sacro non c'è colore, solo luce. Il movimento è forte, sempre comprensibile. Non ci sono imprevisti, l'imprevisto è effettivamente voluto e quindi perde la sua connotazione tenebrosa.
Quindi non riuscirò mai a non recitare, ho troppa paura del mondo.

LUOGO FOTOGRAFATO: ex palestra di una scuola, ora aula di musica e teatro, dove insegno a vivere. A me stesso.