Iconografia essenziale
by Matvey Schmidt
quasi 12 anni fa
Trova sul web un'immagine del gioco più importante della tua infanzia.
“Circa 9 anni. Un giorno triste per la famiglia. Mi misi una parrucca, presi un coltello e.. feci ridere!”
Premessa: non ho idea del perchè un bimbo di quell'età, quale ero io, potesse conoscere la madre di Norman, ma non importa.
Eravamo in soggiorno, l'ultimo giorno di permanenza nel lontanto paese dove vivevano i miei nonni. Li vedevo una volta all'anno, e per un bambino il "stai sereno che ci rivediamo" non conta nulla. Ogni volta è l'ultima. Punto, il bambino può conoscere solo il "sempre" o il "mai", non esistono altri termini di tempo (e se vengono imposti, ci si impegna in uno spasmodico countdown fino all'evento atteso).
Mi avevavo allevato praticamente loro, mio padre non c'era e mia madre era giovane. E avevo solo otto, forse nove anni, periodo in cui tutto intorno a me stava cambiando.
In quel paese freddo ma ospitale, dicevo, stavo nel soggiorno, circondato da parole palliative e lacrimanti: nessuno credeva nelle certezze e quindi nessuno riusciva ad infondermene. Stanco di quei visi sofferenti, costrinsi tutti sui divanetti con popcorn e musica e scappai nel buio del corridoio, sbattendo la porta della sala.
All'inizio credo che si spaventarono proprio, anche perchè sentivano sicuramente rumori di spostamenti di mobili, fruscii e tonfi: stavo trasformando il corridoio buio in una pseudo-passerella.
Spalancai le porte dopo qualche minuto.
Ero vestito da donna: gli eleganti ornamenti di mia nonna erano bislaccamente abbinati a gonne, giacche e cappelli vintage raccattati nella soffitta, forse appartenute a loro volta ad altre catene infinite di nonne. Il mio fare, però, non era femminile; piuttosto era simile alla peggior interpretazione discriminatoria che un comico possa fare di un omosessuale, salvo la ricercatezza e le volgarità. Mostrai il deprimente lato di un bambino corrotto dalla scatola televisiva, ma non importava: mia madre per poco non inghiottì la sigaretta che stava fumando, mia nonna si rotolò dal ridere come una trottola e mio nonno mostrò tutto il suo sorriso merlato e mise le mani al cuore, combattuto fra l'asma e il delirio.
Ci provai con lui, infatti, e gli dissi accarezzandolo sul mento che non doveva preoccuparsi, "che tutto sarebbe andato per il verso giusto".
Il resto fu una carreggiata di personaggi ambigui e inventati al momento, vagamente ispirati a supereoi o mostri anche. E ad ogni giro, con me che mi buttavo dalle sedie che facevano da palco dritto dritto in salotto, ero accolto con risate ed applausi. Capii che dovevo creare un finale scioccante, con una morale esplicita.
Corsi in camera e cercai una parrucca grigia con la treccia raccolta(ne avevo tante, tutte per i miei giochi principalmente solitari), presi il vestito che mia nonna usava per le occasioni tristi e poi corsi in cucina. Tornai in salotto (armato di coltellone) sorridendo come il noto personaggio di Hitchcock nella scena in cui, dopo l'urlo della ragazza nella cantina, arriva con l'aria eccitata e visibilmente felice di un maniaco che sa che la sua preda non ha scampo, ed esclamai:
"Ora se piangete ancora, vi ammazzo tutti!".
Tutte quelle emozioni credo che insegnarono qualcosa a tutti loro:
piantiamola di piangere, il nostro piccino ha già abbastanza problemi di suo..
quasi 12 anni fa
quasi 12 anni fa
Ribadisco, proprio un bel racconto :)
quasi 12 anni fa
quasi 12 anni fa
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quasi 12 anni fa
quasi 12 anni fa
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