Romeo: O amor mio, o mia sposa! La morte che ha libato il miele del tuo respiro, nulla ha potuto ancora sulla tua bellezza: tu non sei conquistata; l'insegna della bellezza è ancora rosea sulle tue labbra e sulle tue guance, e il pallido vessillo della morte non vi si è ancora spiegato. Oh! quale più grande favore poss'io farti, che con quella mano stessa che spezzò in due la tua giovinezza, spezzare quella di colui che fu tuo nemico? Perdonami, cugino! ah! cara Giulietta, perché sei tu ancora così bella? Debbo io credere che la morte immateriale senta l'amore, e che lo smunto aborrito mostro ti tenga qui nelle tenebre, perché tu sia la sua amante? Per paura di questo, io resterò per sempre accanto a te e non mi partirò mai più da questo palazzo della scura notte: qui, qui io voglio rimanere insieme coi vermi che sono le tue ancelle: oh! qui io fisserò il mio sempiterno riposo, e scoterò, da questa carne stanca del mondo, il giogo delle avverse stelle.

Giulietta [dischiudendo gli occhi]: …Ma di che vai farneticando, amor mio, non ricevesti forse la mia missiva?

Romeo: Ha forse Iddio esaudito le mie preghiere? E’ questo un miracolo, giacchè tornasti a me, dal cospetto di San Pietro?

Giulietta: Non nominare la Provvidenza Celeste, o Romeo: non v’è luogo da cui torno, perché mai andai via da te. Un filtro mi chiuse gli occhi, perché le mie membra inermi sembrassero vinte dalla morte, e potessi sfuggire a Paride. Ma adesso bacia queste labbra, che tanto t’hanno bramato…

Romeo: Dolce il tuo alito, linfa che riporta in vita il mio cuore, dai mortiferi presagi in cui giaceva! Fuggiamo, amata mia, prima che la notte stenda il suo manto di velluto e le stelle adamantine illuminino il tuo viso!